Spettacoli

TERAMO - Aula Magna Università degli Studi di Teramo
Venerdì 10 aprile 2026 ore 20:30
dal romanzo di Delphine De Vigan
Lucia Vasini - Pierluigi Corallo
Paolo Triestino - Carmen Di Marzo

Le gratitudini

Adattamento e regia Paolo Triestino
ArtistiAssociati

“Vi siete mai chiesti quante volte al giorno dite grazie?
Grazie per il sale, per la porta, per l’informazione.
Grazie per il resto, per il pane, per il pacchetto di sigarette.
Grazie di cortesia, quasi vuoti.
Grazie a te. Grazie di tutto. Grazie infinite. Grazie mille.
Grazie professionali: grazie per la sua risposta, il suo interessamento, la sua collaborazione.
Vi siete mai chiesti quante volte nella vita avete detto grazie sul serio? Un vero grazie. A chi?
All’insegnante che vi ha fatto amare i libri? Al ragazzo che è intervenuto il giorno in cui siete stati aggrediti per strada? Al medico che vi ha salvato la vita? Alla vita stessa?”
Si apre così Le Gratitudini, di Delphine de Vigan. Un dirompente inno alla vita, dove quattro esistenze si intrecciano in un mirabile incrocio di sentimenti, passioni, rimpianti, ma dove tutto è ancora possibile. Basta volerlo, con caparbietà e decisione. E con un sorriso.
Le gratitudini è un romanzo luminoso e commovente che sembra scritto con l'inchiostro "empatico". (Elle)
Il nuovo romanzo di Delphine de Vigan è un inno all'affetto, alla riconoscenza, a tutti quei sentimenti che ci legano gli uni agli altri. E che ci rendono umani. (Le Monde)
Michka, anziana ex correttrice di bozze, ha per anni accudito Marie, figlia di una vicina di casa assente e problematica. Ma ora è lei ad avere bisogno di aiuto: perde le parole, proprio lei che con le parole ha convissuto da sempre. Jerome, appassionato ortofonista, accompagnerà Michka nel suo affaticato percorso, con la dolcezza di chi ama il proprio lavoro. Incontrerà Marie si direbbe giusto in tempo, proprio quando il sipario sta per chiudersi, ma le possibilità si dispiegano in un sorriso verso il futuro. 
Scritto in stato di grazia da una delle più amate scrittrici francesi, LE GRATITUDINI travolge con un’ondata dolcemente emotiva che raramente si ritrova nella scrittura contemporanea. 


Note di Regia
Chiudere LE GRATITUDINI e pensare di metterlo in scena è stato un tutt’uno. Potrei dire che è per il tema trattato, o per l’amore per la vita che gronda da ogni pagina, o ancora per la perentoria dolcezza che ci ricorda come certe cose VADANO fatte, pena il rimpianto e la consapevolezza che se il momento giusto lo vedi scorrere davanti a te, spesso si allontana e non lo incontri più. Ma non ci sono regole, non c’è qualcosa o qualcuno che è lì a dirti “Ora!”. Succede e basta. 
E’ che forse in ognuno dei quattro personaggi del romanzo c’è qualcosa di noi. 
Michka, la protagonista, è la nonna (o la mamma) che tutti vorremmo avere: vicina ma non troppo, attenta ma non troppo, affettuosa ma non troppo. E stringe il cuore che proprio lei, che per anni ha corretto le bozze di una importante rivista, cominci a non trovare più le parole. Un beffardo ed ingiusto contrappasso. Chi non pensa al proprio “domani”? A come saremo? Chi non ha visto negli occhi di una persona cara quel lento allontanarsi dalla vita che tanto ci intenerisce e scuote? 
Ma Michka ha in più la determinazione di chi vuole dire GRAZIE, un grazie che vuole dire da sempre a chi l’ha accolta da bambina e che non ha mai detto. In qualche modo lo fa ricambiando il dono dell’accoglienza verso Marie, la figlia di una vicina di casa assente e lontana. La tirerà fuori da un destino complicato e già segnato. Al punto che Marie penserà, pur tra mille dubbi, che essere mamma è per lei possibile. Anche da sola. E ci ricorda che spesso ce la si può fare, basta volerlo davvero.
Jerome, l’ortofonista che si occuperà di Michka, è lì a testimoniare che, anche qui, si può dar seguito a pulsioni che a volte ci capita di provare: dare ascolto all’altro, trovare il tempo per dedicarsi a qualcosa o a qualcuno che ci fa pensare di essere dalla parte giusta della vita. E poi il Direttore della Rsa dove viene accolta Michka. Non ha un nome, perché dare nome alle nostre paure non serve. 
Ho lavorato per mesi alle pagine de LE GRATITUDINI, e l’immagine che mi ha fatto compagnia è stata sempre quella di uno spazio non realistico, dove provare a restituire l’ondata emotiva del romanzo, con la consapevolezza che sul palcoscenico può germogliare una malìa che non appartiene più alla pagina, ma ad una carezza, ad un sorriso, ad un grazie sussurrato dagli occhi.
Lo stesso che mi sento di rivolgere agli attori e tutti i miei preziosi collaboratori. (Paolo Triestino)